Che ci resta da fare?

L’amara analogia tra la vicenda del nostro Comune e quella del nostro Stato ci impone una riflessione.

La nostra cittadina sta scomparendo. Il sindaco dall’alto della sua collina, anch’essa malconcia, la sta snaturando rapidamente e progetta di finirla a colpi di cemento e licenze edilizie. Forse i manuali di storia del futuro lo consegneranno ai posteri come un novello Attila nostrano, ma è una magrissima consolazione.

Nel frattempo, anche il paese Italia sta affondando. Qualcuno gioirà perché con esso affonderà anche l’eterno Berlusconi. Noi non siamo minimamente di questa idea; siamo troppo stagionati per non sapere perfettamente che chiunque finisca di rompere il giocattolo i cocci saranno tutti nostri. Anche questo fronte è dunque serissimo motivo di sconforto.

Ed allora che cosa ci resta in cui credere? In nome di cosa chiamare a raccolta le residue forze?

A meno che non si cominci davvero ad ipotizzare ed organizzare fantasiose ed improbabili fughe di massa dal proprio territorio, quantomeno un sano istinto di sopravvivenza ci deve spingere a raccogliere le forze ed a difendere il salvabile in nome di principi eterni di giustizia, democrazia e buonsenso. La fuga, reale o metaforica che sia, sarebbe nient’altro che una fuga dalle proprie responsabilità di cittadini e padri o madri di famiglia. Questo concetto mantiene la stessa validità sia sul piano locale che su quello nazionale. Senza dimenticare che forse è proprio questa fuga dalle responsabilità la causa prima delle difficoltà che stiamo vivendo adesso.

Forse dopo tanti anni di disimpegno si riavvicina per noi il tempo delle scelte difficili e molto concrete.

I dubbi sono tanti però abbiamo imparato una cosa dall’esperienza: l’unico sollievo ci potrà venire dalla consapevolezza di aver tentato tutto il possibile, in prima persona.

 

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*